Il disgusto, sempre più generale, provocato dalla disastrosa gestione dell’euro ha fatto sorgere, in tutta Europa, una serie di monete alternative e complementari. In realtà non solo in Europa, perché il rapporto con la moneta è simile quasi ovunque. Ma le logiche che portano alle monete alternative e complementari sono spesso molto diverse.
Innanzi tutto esistono monete virtuali ed altre “reali”, materiali. La logica di quelle virtuali è, in genere, non legata al singolo territorio. Bitcoin, per fare l’esempio forse più noto, è assolutamente transnazionale. Mentre le monete, materiali, che stanno nascendo in varie parti d’Italia vogliono rispondere all’esigenza opposta: vogliono essere radicate sul territorio – comunale o al massimo regionale – per rappresentare un sostegno alle attività presenti sul territorio stesso.
D’altronde la stessa moneta ufficiale è solo una convenzione. Il valore dell’euro è stabilito da convenzioni. E vale tot sino a quando si decide di farlo valere tot. Non c’è più l’equivalente in oro a tutelare il possessore della banconota o della moneta. Quindi il possesso di una moneta vale per quanto viene riconosciuto dall’interlocutore. In fondo l’Italia aveva già abbondantemente utilizzato una sorta di moneta alternativa quando la mancanza materiale di lire aveva portato alla proliferazione dei cosiddetti miniassegni. Che venivano accettati dai negozianti, dai consumatori, sostanzialmente da tutti.
La moneta complementare locale dovrebbe permettere di far girare la liquidità, senza costi aggiuntivi, tra tutti coloro che la riconoscono. In pratica una comunità decide di utilizzare l’Investox (una moneta di fantasia, ovviamente) che può essere speso solo nei negozi, nelle botteghe, nelle attività commerciali, artigianali, imprenditoriali che sono coinvolte nell’iniziativa. In alcuni casi l’Investox può essere utilizzato anche per pagare parte delle retribuzioni.
Può funzionare? Dipende da quante persone e quante attività decidono di accettare la moneta complementare. Ci sono vantaggi? Dipende da come l’Investox viene utilizzato. La logica vuole che la moneta complementare sia, appunto, complementare e non alternativa. In linea di massima si considera vantaggiosa una quota del 15-20% di una spesa pagata con moneta complementare mentre la quota restante viene pagata in euro. Perché la moneta complementare, non essendo riconosciuta come tale, si trasforma in una sorta di sconto garantito. Dunque non rientra nella tassazione. Diventa una specie di buono sconto. Mentre l’Iva si paga sulla quota incassata normalmente in euro.
Ma i vantaggi sono anche rappresentati dal legame tra moneta e territorio. La moneta complementare DEVE essere spesa, non può essere conservata. Non può essere impiegata per fini speculativi. Serve a far muovere l’economia locale, non può essere portata in altri territori dove non è riconosciuta. Se l’Investox è una moneta accettata da un quartiere di Torino, non si potranno comprare i vini in Sardegna o le arance in Sicilia. Ma chi possiede l’Investox sarà obbligato a fare acquisti nel quartiere. Ed il negoziante del quartiere non porterà in banca la moneta complementare ma la utilizzerà per pagare il 20% del conto in pizzeria.
Per questo le monete complementari piacciono in territori particolari che non hanno la benché minima intenzione di creare una moneta alternativa valida per qualsiasi parte del mondo, senza controlli, senza garanzie e con problemi fiscali molto più complessi.