Il nostro tour “Diamante dei boschi: alla ricerca del tartufo bianco d’alba con Dori” organizzato da Filippo e Francesca inizia un sabato mattina di fine ottobre tra i boschi di Strada Baresane a pochi minuti di auto da Alba.
Quella qui sopra è la cascina dei nonni di Filippo da cui tutto è iniziato. Dal papà cacciatore ha ereditato la passione e il rispetto per i cani e soprattutto quelli da caccia, che lui oggi continua ad addestrare per conto terzi. A differenza di quanto si possa pensare, tutti i cani di qualunque razza possono essere addestrati per la cerca dei tartufi; il lagotto romagnolo – uno dei più utilizzati – risente meno del freddo grazie al pelo lungo, che però presenta lo svantaggio di inzupparsi facilmente in caso di pioggia e umidità. Potrebbe capitarvi di sentire dire che i cani da tartufi devono essere affamati perché possano essere più efficienti. Non è affatto così, i cani devono essere nutriti adeguatamente, e solo prima della cerca devono essere a stomaco vuoto perché potrebbero avere picchi glicemici e crisi adrenaliche. Per il cane la cerca deve essere un gioco e non un lavoro, nonostante possa andare a tartufi fino alla fine della sua vita. E a vedere Dori – la vera protagonista di questa giornata – non ci sono dubbi che si diverta tantissimo. Dori è un bracco, figlia di una storica famiglia di trifulau, che ama particolarmente andare alla ricerca di tartufi bianchi più che neri; e come darle torto.
Il termine che rappresenta maggiormente il legame tra Filippo e la sua Dori è senza dubbio “simbiosi”, una coesistenza inscindibile tra l’uomo e l’animale, in cui ognuno ha coscienza del proprio ruolo rispettando l’altro. Il brand “Luna di Dori truffles” deriva dalle fasi lunari che influenzano moltissimo lo sviluppo e la crescita dei tartufi.
Per quanto la vendita del tartufo possa essere un’attività redditizia, gestire una tartufaia ha costi notevoli e richiede una cura costante. Una pianta micorizzata costa € 15,00, a cui si aggiungono i concimi (che non possono essere azotati ma di carbonato di calcio) e le recinzioni contro l’attacco di cinghiali e ungulati, spesa per la quale la Regione non interviene. Il patrimonio tartufigeno – che in Piemonte a differenza di Toscana e Umbria è poco tutelato – si è ridotto del 70% a causa degli stravolgimenti climatici, dei costi di gestione della fauna selvatica che se ne nutre.
I tartufi crescono sempre negli stessi punti, ma non in tutto il Piemonte perché le condizioni climatiche adatte non esistono ovunque, così come non è automatico che si sviluppino sempre. Le spore devono incontrare la radice che a sua volta deve creare il corpo fruttifero, cosa che in alcuni casi si può verificare anche dopo 20 o 30 anni. I tartufi macrosporum non possono essere raccolti perché servono allo sviluppo degli altri e devono sempre essere raccolti nel periodo giusto.
Dal 01 al 20 settembre e per tutto marzo la cerca dei tartufi viene sospesa per consentire alle spore di riprodursi. Le spore sono molto delicate e muoiono se esposte al sole o se restano immerse in acqua per più di 40 giorni.
Anni fa era pieno di tartufi, se ne trovavano tantissimi che crescevano spontaneamente ma si buttavano perché non se ne comprendevano il valore e l’utilizzo. Oggi il tartufo nero, come lo scorzone estivo – nonostante sia considerato poco pregiato e di conseguenza venduto a un prezzo più abbordabile – è molto usato in cucina soprattutto in cottura e dona anch’esso gioie olfattivo-gustative.
La coltivazione del tartufo nero è in aumento in Spagna, Francia ed Emirati Arabi.
Le piante sotto le quali si sviluppano i tartufi sono la quercia, il noce, il sambuco, il nocciolo, il pioppo. Le piante non si possono irrigare perché il cloro le rovinerebbe. Per irrigare in casi estremi si usa l’acqua piovana conservata in piccole cisterne nelle tartufaie. Le querce si trovano sugli argini dei boschi e donano tartufi più piatti e scuri. I pioppi crescono in terreni sabbiosi e i tartufi sono più gialli e chiari. I tartufi bianchi di colore marrone scuro che presentano all’interno venature che virano sul rosa provengono da noccioli selvatici, sono profumatissimi, esclusivamente langaroli e tra i più costosi.
Dori è una campionessa assoluta, e quasi a volerci dare dimostrazione delle sue capacità proprio mentre Filippo ci raccontava le caratteristiche dei vari tartufi bianchi, lei ne trova uno eccezionale.
Ma veniamo alla sorpresa della quale vi avevo accennato prima. Filippo e Francesca ci hanno assegnato una piantina da piantare in una delle nuove tartufaie. Con questo gesto finalizzato alla salvaguardia dell’habitat boschivo mi sono sentita per alcuni istanti parte integrante del loro mondo e investita del ruolo di ambassador del patrimonio tartufigeno piemontese.
Il tartufo deve essere conservato in frigo, avvolto in un foglio di carta assorbente da cucina e riposto in un contenitore isolante, ad esempio la vaschetta di polistirolo dei gelati artigianali. Il riso ne assorbe l’umidità se sono bagnati o umidi e in tal caso può essere utile riporre i tartufi in un barattolo di vetro con del riso, ma è sempre preferibile evitare di conservarlo con il riso perché quest’ultimo potrebbe essere contaminato da batteri e muffe, che non essendo cotto si trasferiscono al tartufo. Quindi un bel giro di Scottex casa e via in frigo. E quando dovete consumarli togliete il bianco pochi minuti prima dal frigo, mentre il nero almeno due ore prima. Ma ovviamente vige la regola: prima si mangia e meglio è!
Sapevate che i tartufi neri si possono congelare? Ebbene sì, è possibile. Un ottimo e geniale sistema di conservazione del bianco invece è quello di congelarlo a fettine in un panetto di burro. Avrete il vostro burro al tartufo pronto all’uso per risotti, paste e polente.
Filippo, Francesca e Dori vi aspettano per la vostra truffle experience, della durata di 2 ore al prezzo di € 65,00. Potete prenotare questa e altre formule ai seguenti numeri o indirizzi:
338/8885031 (Filippo) – 333/7714592 (Francesca)
fils.rigo@libero.it info@francescamo.it
http://www.francescamo.it/lalunadidori/