Investire sull’informazione, si può e conviene.
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| 2016 | News
| Marzo 2016 | 2657 Visite | con Commenti disabilitati su Investire sull’informazione, si può e conviene.

L’operazione che porterà al controllo de La Stampa da parte di Repubblica e del gruppo L’Espresso è solo una delle tante che stanno interessando il mondo della comunicazione.  Alcune, come quella che riguarda i due quotidiani, già ufficializzate. Altre ancora in fase di studio. La più interessante riguarda Mediaset. Gruppo di grandi dimensioni per il panorama italiano, ma troppo piccolo in un’ottica internazionale, anche solo europea. Alle prese, tra l’altro, con le difficoltà nel settore pay e con l’invecchiamento dei programmi e dei contenuti per quanto riguarda la tv generalista.

Sky, ovviamente, sarebbe favorevole ad un accordo per rilevare l’intero settore della tv a pagamento di Mediaset, o anche solo ad un’alleanza in cui l’editore australiano avrebbe il controllo. Ma per Mediaset si sta facendo avanti anche il finanziere francese Bolloré con Vivendi. Pronto ad un’alleanza europea, sotto controllo francese, per rafforzarsi in Europa. Vivendi permetterebbe, inoltre, di disporre di ingenti capitali per il rinnovamento dei contenuti sulle tv di Mediaset. I francesi pensano, infatti, che non si possa andare avanti all’infinito con i litigi nei programmi di “malcostume” italiano o con i talk show che sono ormai disertati dal pubblico.

Ma tutti questi movimenti sono anche il sintomo dell’importanza crescente dei media. Nonostante la pesante crisi pubblicitaria che ha ridotto gli incassi delle emittenti e dei giornali. E’ evidente che servano investimenti massicci: nella carta, nel web, nelle tv. Troppi editori, soprattutto i più piccoli, puntano invece sulla riduzione delle spese. In questo modo, però, si finisce in un circolo vizioso, anzi in un vortice vizioso: la qualità dei contenuti precipita, il pubblico abbandona l’emittente, la pubblicità (giustamente) svanisce. In Piemonte le emittenti televisive realmente attive si sono drasticamente ridotte. E non si vedono segnali di un’inversione di tendenza che dovrebbe passare, necessariamente, dall’investimento nei contenuti. Prodotti all’interno o acquistati all’esterno. Ma occorrerebbe che gli editori comprendessero che per “contenuti” non si intende una televendita di pentole o di bigiotteria.

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