Si è tenuto nei giorni scorsi, presso il Salone d’Onore del Castello del Valentino, all’interno della Facoltà di Architettura, un seminario indetto da Tharsos, azienda torinese che opera su tutto il territorio nazionale con una mission ben precisa: assistere realtà private nazionali ed internazionali ed Enti Pubblici nell’applicazione delle normative relative alla salute e sicurezza degli ambienti di lavoro, ambiente ed energia. Azienda di servizi con oltre 50 tecnici, che ha nel nome i suoi tratti distintivi: Tharsos infatti è una parola greca che significa fiducia e coraggio.
All’ordine del giorno, un tema mai così tanto attuale, come in questo periodo: la valutazione del rischio sismico, attraverso un nuovo approccio integrato.
Tanti i temi affrontati e le casistiche prese in considerazione, a partire dai danni provocati dal sisma del 1976 in Friuli, di magnitudo 6.5 che costò la vita a 922 persone, passando per quello dell’Irpinia del 1980, 6.9 di magnitudo e 2914 vittime, dell’Umbria nel 1997, 6.1 di magnitudo e 12 vittime, Molise 2002, 5.9 magnitudo e 30 vittime, Abruzzo 2009, 6.3 magnitudo e 308 vittime, Emilia Romagna 2012, 6 di magnitudo e 26 vittime, per finire a quello che nel 2016 colpì il centro Italia, provocando 292 vittime, e qui parliamo di 6.2 di magnitudo.
Le perdite, però, quando si parla di un terremoto sono da stimare anche in miliardi di euro finiti sgretolati sotto le macerie: che sono di molteplice natura, perché riguardano non soltanto i costi per la ricostruzione ma anche i costi di mancata produzione. E’ intorno a questi numeri che ruota tutto il metodo presentato a Torino, nei giorni scorsi e ad una domanda ben precisa: è misurabile il rischio sismico? Si, è misurabile.
In Emilia Romagna le non strutture hanno generato un danno inestimabile a livello economico locale non paragonabile a nessun altro sisma. Basti pensare che il costo medio annuale dal 2002 per far fronte ai danni dei terremoti sin qui presi in considerazione supera, a livello nazionale, i tre miliardi di euro all’anno.
Alla base di tutte queste valutazioni e nuovi spunti, c’è uno studio, portato avanti insieme al Politecnico di Torino, che si è dimostrato capace di codificare un percorso con canali scientifici, capaci di avere un metro di valutazione universalmente riconosciuto, perché nato da studi approfonditi sui metodi di prevenzione già da tempo adottati da americani e giapponesi, in tema di terremoti.
Si è parlato di danni, dando un valore ben più ampio e dettagliato al termine, rispetto al pensare comune, andando a catalogare le varie tipologie di danno (Life Safety / Property Loss / Functionality Loss) ed andando a studiare un ciclo di vita di un edificio (“tutti gli edifici hanno necessità di manutenzioni”), a valutare la vulnerabilità statica ma anche quella degli impianti, delle attrezzature, dei macchinari ed anche degli arredamenti che ha fatto intervenire ai lavori del seminario i rappresentanti delle maggiori realtà economiche italiane, molto interessate a comprendere come esaminare questa complessa tematica. Hanno partecipato ai lavori il Gruppo Fca, Ferrero, Leonardo Finmeccanica, Saipem, Intesa San Paolo, il Gruppo Unipol, Pirelli, Roche Farmaceutici, Pininfarina, Giugiaro tra gli altri.
La conclusione? Una metodologia comprovata basata sul garantire un obiettivo di prestazione dell’edificio in tutte le sue parti concordato con il committente, rifacendosi alle norme nazionali e internazionali e una frase capace di contenere tutto il sapere condiviso: “ricordiamoci di mantenere sempre uno sguardo rivolto al futuro, senza perdere di vista il patrimonio del passato”.
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