Ha chiuso i battenti nei giorni scorsi, il talent Rai giunto alla sua quarta edizione, The Voice, format olandese ideato da John de Mol e trasmesso in tutto il mondo. Sul gradino più alto del podio Alice Paba del Team Dolcenera, seguita da Charles Kablan (Team Killa), Elya Zambolin (Team Pezzali) e Tanya Borgese (Team Carrà). E mentre la Raffa nazionale lascia definitivamente lo show e gli inediti dei quattro finalisti, pubblicati sotto etichetta Universal Music Italy, arrivano in radio, l’istrionico presentatore Federico Russo, chiuso il programma è già pronto ad emigrare verso il canale del gruppo di Discovery alla conduzione del gioco spettacolo Ninja Warrior, capace in America di catalizzare l’attenzione di milioni di spettatori.
Federico, si sono spenti i riflettori, com’è andata?
E’ andata bene direi, sono molto soddisfatto. E’ stato un bel percorso con tante scommesse e altrettante novità. Non credo fosse facile fare una buona edizione com’è stata. Molte sfide sono state vinte, si è creato un bel gruppo di lavoro e abbiamo scoperto dei talenti molto giovani, aspetto che per quanto mi riguarda da fiducia dal punto di vista sia musicale, che artistico. Credo sia stato, quello di quest’anno, il cast più giovane di sempre. Bravissimi i quattro finalisti ma c’è del talento anche in alcuni dei ragazzi che non hanno raggiunto la finale.
Sono cambiati tutti i coach: è stata una scelta azzardata?
Se c’è stato un così radicale cambiamento era perché se ne sentiva il bisogno. Trovare delle figure nuove, amalgamarle bene con il meccanismo del programma, era ovviamente un’operazione rischiosa. Ditemelo voi com’è andata!
Il prossimo anno probabilmente The Voice Italia cambierà rete.
Onestamente non ne ho idea. Sono affezionato al talent e spero resti dov’è. Sono tre anni che salgo su quel palco. Sono voci che sento solo da voi, per quanto mi riguarda è gossip puro.
Raffaella Carrà era alla sua terza edizione. Si è confermata caposaldo di questo talent, anche se ha faticato a reperire i suoi talenti. Come mai?
Credo sia semplicemente un caso. Ha finito dopo la sua squadra, mettendo in piedi comunque un gruppo di alto livello.
Una popstar si può costruire?
Certo che si, sono tutte costruite in realtà. Se pensi a Justin Bieber, a Christina Aguilera, a Britney Spears, anche a Michael Jackson pensi a quella roba li, a qualcosa di costruito su un talento che esiste già. Non fatico a credere che Justin (Bieber, ndr) sia oggi il più grande performance al mondo, dietro però c’è del talento intorno al quale le giuste persone hanno iniziare a lavorare anni fa. Devi avere la capacità di scrivere delle canzoni, trovare la giusta direzione al tuo talento. Chi esce da un talent non ha la strada spianata, anzi il lavoro vero inizia dopo, quando la gente da te si aspetta delle canzoni capaci di fare la differenza, in radio, in tv ma soprattutto dal vivo.
Mtv e mamma Rai, rispettivamente padre e madre del Federico Russo che tutti noi conosciamo. Cosa ti ha dato l’una e l’altra?
Mtv mi ha insegnato a fare la televisione, è stata una tappa fondamentale per la mia carriera televisiva. Quella è stata la prima volta in cui ho fatto realmente televisione, in cui mi sono cimentato in una conduzione in diretta. Mtv mi ha insegnato un mestiere e non dimenticherò mai quanto quel gruppo ha fatto per me. La Rai invece mi ha fatto crescere e mi ha dato l’occasione della vita, in un momento clou della mia carriera, appena passati i 30 anni. Dopo tanta gavetta serviva l’occasione importante per crescere e la conduzione, a 32 anni, della prima edizione di The Voice Italia lo è stata. Dopo è nato Emozioni e poi ancora Start nel quale sono affiancato da Francesco Mandelli: due programmi ai quali sono molto affezionato.
Nella colonna sonora della tua vita chi non potrà mai mancare?
Happiness Is a Warm Gun dei Beatles, i Velvet Underground ed Elio e le Storie Tese.
Lavori in radio e in tv. Come cambia l’approccio verso il tuo pubblico?
In tv è meno diretto, in radio è come se lo vedessi e ci parlassi direttamente. Parlo attraverso i messaggi e le telefonate, mentre in tv hai qualche filtro in più ma questo non vuol dire che lo stesso rapporto perda di autenticità.
Com’è stato dar voce all’Eurovision?
Un’esperienza meravigliosa, parliamo di uno show pazzesco, vederlo dal vivo e lavorarci per la diretta italiana è stata una grandissima occasione che la Rai mi ha dato. Fortunatamente in Italia sta iniziando a crescere l’attenzione verso un concorso che ti permette di vivere la musica con un taglio europeo. Magari un giorno toccherà a noi organizzarlo: basterebbe vincerlo! Le altre nazioni, soprattutto le popolazioni nordiche sentono quella finale come noi italiani viviamo un mondiale di calcio. La nostra missione a Stoccolma era incentrata su quello, far emozionare il popolo italiano nel vedere e sentire chi su quel palco avrebbe rappresentato il nostro tricolore.
Sei un fiorentino doc.. cosa rende speciale una città come Firenze che trasuda arte da ogni vicolo?
E’ difficile racchiudere in due parole l’esclusività di una città come Firenze. E’ speciale, la conosco a memoria in ogni sua mattonella ma ogni volta che torno la vivo come fosse la prima volta ed è una sensazione difficile da paragonare. Nessuna città è mia come lei.
Milano però ti ha ufficialmente adottato: cosa rende unica questa città che detta regole in fatto di moda e pare anche di design?
Milano è bella perché ti permette di non stare un attimo fermo. Ogni angolo ha qualcosa pronto a coinvolgerti. Qui sento un fermento maggiore rispetto a Firenze, al di la delle varie settimane della moda, del design. Esci di casa e ti rendi conto che potresti rientrare 24 ore dopo senza smettere di scoprire cose nuove. Nonostante ultimamente sia diventato un pantofolaio, mi tranquillizza vederla ribollire di un fermento internazionale che non può che far bene al nostro paese.
Quando la musica lancia messaggi perde la sua bellezza per strada?
No, la musica deve essere libertà, deve poter dire quello che vuole e non perderà certo per questo la sua bellezza. Devi essere in grado di darlo, il messaggio. Non amo le canzoni troppo didascaliche, mi piace quando il focus della canzone è inserito ad arte, un po’ nascosto, altrimenti la melodia si fa proclamo e la canzone strumento. La vera arte è cercare la giusta allegoria e la metafora perfetta per rendere bello il tuo messaggio.