Roberto Calligani di Albenga il nuovo Artista del Gelato
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| Ottobre 2016 | 5121 Visite | con Commenti disabilitati su Roberto Calligani di Albenga il nuovo Artista del Gelato

Si è tenuta in questi giorni, a bordo della crociera Costa Favolosa, il meeting nazionale che ogni anno chiama a raccolta gli Artisti del Gelato. Parliamo di una delle Associazioni che punta a raccogliere sotto il suo cappello i più importanti maestri gelatieri italiani ed esteri, dediti alla valorizzazione e alla promozione del gelato artigianale italiano di qualità. Al loro fianco Agrimontana, azienda italiana leader nella trasformazione della frutta e nell’arte gelatiera, fornitore delle materie prime per la produzione del gelato a bordo di Costa Crociere.

Ad unire ogni singolo artigiano, oltre ad un rigoroso disciplinare produttivo anche quel tocco creativo capace di fare di ognuno di loro un punto di riferimento d’eccellenza del gelato artigianale italiano.

Roberto Calligani della Casa del Gelato di Albenga è fresco di nomina, per lui la consacrazione è arrivata in piena Assemblea plenaria, dopo 30 anni di dedizione ad un mestiere che si è fatto passione: “Nel mondo del gelato ci sono finito per caso, era il 1988, all’epoca ero un barista e un cliente mi chiese se volevo andare a lavorare nella gelateria che stava per aprire. Accettai la sua proposta, non fu un anno facile ma bastò a farmi capire qual’era la mia strada, quella del gelato, appunto. Rimasi da lui un solo anno e poi aprii una gelateria tutta mia: avevo 22 anni, erano altri tempi, c’era una spensieratezza che solo a quell’età hai e forse non ero neppure pienamente consapevole di ciò che stavo facendo”.

Che vuol dire fare un gelato artigianale, oggi?

“Devi comunicare ciò che fai: la gente deve percepire la differenza tra il tuo gelato e il resto dell’offerta e poi devi ridurre al minimo i lavorati, prima si parlava di 6000 tipi diversi di lavorati. Se considerate la pasta di nocciole un semilavorato, quella allora la uso anche io, come la pasta di mandorle o il cacao in polvere o anche il cioccolato Domori, o Arriba. Sono tutti semilavorati, di eccellenza, ma sempre semilavorati. Sei anni fa ho rifatto il laboratorio, ora è a vista e credo sia un valore aggiunto. Ti obbliga ad avere uno standard di ordine e di pulizia che deve esserci a prescindere ma che, se palesato, fa capire al cliente che il lavoro non è davanti al banco ma quando pulisco la frutta o rompo le uova fresche. E’ artigianale anche il nostro modo di fare marketing, mica solo il gelato, ma dietro c’è per sempre una ricerca mirata di prodotti di qualità”.

Qual è il suo gusto preferito e quali sono invece quelli più richiesti?

“Ho una leggera intolleranza al latte quindi opto per la frutta, rigorosamente di stagione. Ora penso ai cachi, ai melograni, fino all’altro ieri al gelato di fichi. Il croccante di nocciole, con le nocciole che chiaramente arrivano dalle Langhe è tra i più richiesti ma anche il fior di latte e la panna cotta. Ho smesso di fare la menta: la gente la compra se la fai verde, con i coloranti. Il mio gelato alla menta, naturale, è bianco ma la gente non lo capisce, neppure se provi a spiegarglielo”.

Perché entrare in un’associazione di categoria?

“Personalmente faccio parte anche di Conpait, la Confederazione Pasticceri Italiani. Credo siano il modo più semplice e diretto per accrescere le nostre competenze. Tra di noi parliamo di gelato, di metodi, cosa fa uno e l’altro e percepisci delle cose che una volta tornato a casa proverai a fare. Non è la ricetta a fare buono il gelato ma il metodo, ed è proprio quello che devi ricreare. Sono 30 anni che faccio questo mestiere e ho ancora tanto da imparare”.

La gente comune, non gli addetti ai lavori, come fa a capire se un gelato è buono?

“Quando assaggi il gelato il sapore non deve essere immediato, se arriva subito ci sono degli aromi dentro. E dopo che hai finito di mangiarlo, devi ricordartelo anche a distanza di tempo, come il sapore che lascia in bocca il caffè. Deve essere cremoso ma non untuoso, altrimenti ci sono grassi vegetali  o monogliceridi che appesantiscono solo il gusto. Se lo sentite acquoso vuol dire che è il frutto di uno scorretto bilanciamento del prodotto. Se dentro trovate dei pezzi di ghiaccio magari è solo un po’ vecchio. Fate caso a quanto è leggero il gelato industriale, perché pieno di aria, incongelabile. Se riempite la stessa vaschetta con del gelato artigianale peserà il doppio”.

Nel vostro disciplinare si parla ad un certo punto di sicurezza alimentare. In che modo la fate?

“Ci sono biologi che analizzano il mio gelato. Inizialmente entravano in laboratorio e analizzavano ogni singolo passaggio della produzione poi sono passati ad una campionatura del gelato, a sorpresa, delle varie tipologie, una crema, una frutta fresca e una secca, uno yogurt e tutto al solo fine di controllarne il livello batterico e biologico. Insegno a chi lavora con me come pulire e lavare la frutta, soprattutto quella a contatto con il terreno. L’ananas prima di aprirlo lo tengo a mollo con un disinfettante studiato ad hoc, come anche il melone”.

La Liguria è un terreno fertile per il vostro modo di intendere e fare il gelato?

“La crisi c’è a tutti i livelli ma nell’ultima stagione abbiamo avuto un aumento drastico di turisti, arrivati in Italia anche per una paura latente di andare all’estero. Ad Albenga ci sono 25.000 anime: ci si conosce tutti, i clienti sono affezionati, con il tempo educhi il loro palato ad un tipo di prodotto diverso dagli altri ma devi comunque sempre rinnovarti, fare ricerca e mantenere alta la qualità del tuo gelato. Che non è più solo un gelato”.

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