La grande Illusione
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| 2015 | Investo Banking | News
| Gennaio 2016 | 2561 Visite | con Commenti disabilitati su La grande Illusione

La grande illusione legata al basso prezzo del greggio ha lasciato il campo alla grande paura. I benefici attesi sono stati sostituiti dai timori per una realtà che non assomiglia in nulla alla favola che era stata raccontata. In Italia lo si vede ogni giorno, alle pompe di benzina. Quando il greggio aveva raggiunto i 120 dollari al barile, il costo della benzina aveva sfiorato i due euro. Ora che il prezzo del barile è precipitato sotto i 30 euro, la benzina non è scesa a 50 centesimi (un quarto del prezzo come è avvenuto per il greggio), ma continua ad essere venduta al di sopra di 1,40 euro. Colpa delle accise, della distribuzione, di quello che si vuole. La realtà è che i benefici per le famiglie e per chi si sposta per lavoro non ci sono stati, se non in misura estremamente ridotta. In compenso è sullo scenario internazionale che si sono registrate le ripercussioni più negative. Perché i Paesi produttori, dall’Arabia Saudita al Venezuela, passando per l’Asia Centrale e la Russia, hanno visto crollare gli introiti che consentivano investimenti per l’ammodernamento delle rispettive economie ma consentivano anche politiche sociali che garantivano la tranquillità interna. E la fine delle sanzioni contro l’Iran libererà il commercio di altro greggio, con ricadute ulteriormente negative sul prezzo del greggio. Ma se i Paesi produttori incassano di meno, spendono anche di meno. E riducono gli acquisti di merci prodotte in quei Paesi che stavano approfittando del ribasso del petrolio per produrre di più a costi ridotti. Un problema che colpisce la Cina, ma non solo. E se Pechino frena, calano anche le esportazioni dei prodotti di fascia alta europei diretti verso il grande Paese asiatico. Una crisi ineluttabile ed irreversibile? Non proprio. Perché il ribasso del greggio è stato voluto dall’Arabia Saudita che, in tal modo, ha ingaggiato un braccio di ferro con gli Stati Uniti, impegnati a trasformarsi da Paese importatore di petrolio in Paese esportatore. Grazie allo shale oil, ossia il petrolio ottenuto con la frantumazione delle rocce sotterranee. Ma l’estrazione dello shale oil è più costosa rispetto alle trivellazioni tradizionali in un Paese come l’Arabia o negli Emirati. Riad era però convinta che il braccio di ferro con gli americani sarebbe durato di meno. Invece le imprese Usa hanno potuto approfittare inizialmente del costo zero del denaro e non hanno chiuso gli impianti. Ora iniziano i fallimenti, ma in misura limitata. E in attesa di una esplosione della bolla speculativa americana nel settore, l’Arabia si trova a fare i conti con una stretta alle agevolazioni da sempre concesse ai propri cittadini. Oltre a ridurre gli investimenti all’estero. Problemi che riguardano anche la Russia, in ritardo sull’ammodernamento del proprio sistema industriale ed ancora troppo dipendente dagli introiti legati a petrolio e gas. Ma anche i Paesi dell’Asia Centrale devono rallentare i propri progetti di crescita, sempre a causa del crollo del prezzo del greggio. Quanto all’Europa, non può indirizzare verso il mercato interno il surplus di produzione non più assorbita dai mercati internazionali. Perché in molti Paesi, a partire dall’Italia, la politica dei bassi salari e della riduzione delle pensioni impedisce ai cittadini di acquistare i prodotti di qualità superiore rispetto alle merci cinesi, ma con prezzi inaccessibili per una larga parte della popolazione.

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